Due milioni di pagaiate

13/3/17 -  di Fabio Pozzo

E'  STATA la cosa più spaven­tosa che io abbia mai fatto. So­no grato di essere tornato a terra tutto intero» ha detto Chris Bertish, appena messo piede ad Antigua come primo uomo ad aver attraversato l'Atlantico in Sup. Sì, avete ca­pito bene: stand-up paddlebo- ard, la tavola sulla quale si sta in piedi e si pagaia. Come face­vano i nativi delle Hawaii, se­condo i racconti di James Cook; come hanno fatto i sur­fisti di Waikiki Beach negli Anni Cinquanta, lanciandolo come sport

Barba lunga, capelli selvag­gi, pelle cotta dal sole, occhi un po' spiritati e un tono di voce leggermente più acuto del normale, 9 chili in meno ri­spetto alla partenza, un Tom Hanks in "Cast Away" per in­tenderci, Chris ha addentato un hamburger (direttamente la carne, tolta dal panino) - «Ho mangiato la stessa cosa ogni singolo giorno per 93 giorni»: leggi cibo liofilizzato e barrette - e ha cominciato a raccontare di squali, avarie, tempeste e onde enormi.

Squali? «Ero saltato giù dal­la tavola per una nuotata velo­ce. Ho avuto una strana pre­monizione, qualcosa ha cattu­rato il mio sguardo. Era una cosa scura che aveva mosso l'acqua e che si stava avvici­nando velocemente alla pop­pa di ImpiFish (la sua tavola). Ma poco prima del  punto di impatto ha virato a sinistra. Allora l'ho potuto vedere con chiarezza: una grande, elegante macchina da caccia. Uno squalo bianco appunto.

Chris ha 42 anni, è nato a Ca­pe Town in Sud Africa in una famiglia di tre fratelli e un pa­dre che lo ha iniziato agli sport d'acqua in tenera età. Velista, surfista. Soprattutto surfer con l'ossessione delle bigwa- ves. Le grandi onde. È cresciu­to con il sogno di vincere il Mavericks Big Wave Invita- tional, una competizione che si tiene ogni inverno nel­l'omonimo spot, al largo della costa Nord della California e alla quale si accede soltanto su invito. Solo i migliori. Lui l'ha vinta nel 2010, anno in cui ci furono montagne d'acqua mai viste. E ha continuato, andan­do in giro per il mondo a caccia delle onde giganti: senza sponsorizzazioni, senza aiuti è entrato a far parte di un club ristretto di leggende del surf che ogni volta che puntano al largo sfidano la morte.

Studi in marketing e desk­top publishing, nonostante i successi sportivi Chris si è guadagnato da vivere soprat­tutto promuovendo le vendi­te di alcuni marchi tecnici e di abbigliamento per il surf. «Se non sei un giocatore di calcio, rugby o cricket nel mio Paese è molto difficile ottenere il so­stegno necessario per andare a competere sulle onde...».Un campione che sfida i mo­stri del mare, ma ha paura degli aghi; che ama i gatti e i pistacchi e, almeno così dichiava tempo fa intende per felicità «avere il tempo e il denaro per viaggiare, fare surf e godere degli amici, famiglia e dell'Oceano». In mare, dice, «mi sento libero, vivo».

E poi, c'è il Sup. Pagaiando sulla tavola in questi ultimi anni ha messo in fila tanti record, dalla traversata della Manica  più veloce (5:26:03)  alla maggior distanza coperta  nelle 12 ore  in acque aperte  (130 Km)   Imprse che gli hanno dato uletriore fama e aperto la strada del mental coach, motivatore e ispiratore  "Nulla è  impossibile se credi che non lo sia " è il suo motto. ha scritto nel libro Stolked (Penguin Random House) dove racconta la sua storia. Che dovrà aggiornare il 6 dicembre scorso  Chris è sal­pato da Agadir, in Marocco, con ImpiFish, un Sup speciale per un'impresa incredibile. Disegnata dall'architetto Phil Morrison, è una tavola lunga 6 metri, dal peso a pieno carico di 600 chili, costruita in sei mesi in Gran Bretagna e costa­ta 120 mila dollari. Speciale perché ha una piccola cabina a prua, dove ci si può rannic­chiare per dormire e custodire le strumentazioni, e gavoni- magazzino per stivare la cam­busa e il resto.

Con questo guscio e una pa­gaia in carbonio ha affrontato l'Atlantico e l'ha vinto. Una battaglia di 93 giorni, oltre 4 mila miglia, circa 2 milioni di pagaiate E'  avanzato nell'Oce­ano sino alle Canarie, che ha tenuto come possibile scalo d'emergenza, quindi ha attra­versato il blu fino ad Antigua, nei Caraibi, tenendo una me­dia di 43 miglia il giorno. Con punte di 61. quella che lo ha travolto al largo delle Canarie, 48 ore d'inferno con il Sup «che im­barcava acqua, sotto onde di 5 metri; il vento a 35 nodi che mi soffiava indietro... ». Ava­rie, almeno dodici le ripara­zioni, la crema solare usata co­me lubrificante.

Guai fisici, dai tagli alle dita a una lacerazio­ne alla spalla «che adesso do­vrò farmi operare». Fatica, il sole implacabile, che lo ha co­stretto a pagaiare soprattutto di notte. Il razionamento dei viveri, la mancanza d'acqua - 50 litri d'emergenza custoditi nel guscio, che hanno fatto an­che da zavorra e quella del dissalatore - durante la prima burrasca. «Sei sotto costante stress da gestione del rischio. Guardi i portelli e preghi che tengano, perché diversamen­te potresti affondare nell'Oce­ano. Da solo, nel nulla».